PERONISMO DAL 1940 A OGGI: COSA NON E’ CAMBIATO

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Due peronisti al governo dell’Argentina: la coppia Fernandez-Kirchner ha numerosi ostacoli ideologici da superare.

Lo scorso 27 ottobre l’Argentina è stata chiamata alle urne per le elezioni generali, elezioni che celano un implicito referendum pro-contro le politiche neoliberiste e di austerità messe in campo da Macri negli ultimi quattro anni. Gli argentini scelgono la discontinuità e il cambiamento. Con il 47,8% dei voti, Alberto Fernández del Frente de Todos vince su Mauricio Macri (Juntos por el Cambio), l’attuale presidente in carica fino al 10 dicembre, che raggiunge il 40,69%. Terzo posto a Roberto Lavagna dell’UNIR, con il 6,17%; seguono Nicolás Del Caño con il 2,13% (Frente de Izquierda y los Trabajadores), Juan José Gómez Centurión con l’1,71% (Frente NOS) e infine José Luis Espert (Unite por la Libertad y la Dignida) con l’1,48%.

La coppia di centro-sinistra Fernández-Kirchner riesce così a spogliare l’Argentina dalla moda del neoliberismo, proponendosi di riformare e cambiare radicalmente le vesti del Paese. Tra i primi obiettivi del duo Fernandez c’è quello di mettere in soffitta le fallimentari politiche economiche di Milton Friedman e dei Chicago Boys, che hanno portato a un aumento dell’inflazione dal 25% al 50% e a un crollo del valore del peso in soli quattro anni (1). Il neoliberismo di Mauricio Macri, sostenuto e incentivo dal Fondo Monetario Internazionale, ha segnato il futuro dell’economia argentina, destinandola a una fase di profonda recessione: non sono serviti gli interventi del FMI, le liberalizzazioni e i tagli alle spese per risanare i debiti argentini e per riportare più equilibrio economico e sociale nel Paese.

La svolta a sinistra dell’Argentina e il ritorno al potere del peronismo segna un momento storico nella storia del Paese. Fernandez ora si trova a dover mediare tra un passato di rigida austerità e una compagna di giochi, Cristina Fernandez de Kirchner, famosa per le sue estreme riforme populiste e la sua identità da peronista convinta. Perché il peronismo di Alberto Fernandez e il peronismo di Cristina Fernandez de Kirchner sono, sotto numerosi aspetti, diversi. Lui si rifà al justicialismo di Juan Domingo Perón, lei alla linea manichea della moglie Eva. Ma prima di analizzare le differenze tra le vedute dei due Fernandez, ripercorriamo il peronismo dalle sue radici.

Juan Domingo Peron e sua moglie Eva

Dagli anni ‘20 la società argentina è divisa tra grandi e ricchi allevatori di bestiame, ceto medio urbano e proletariato cittadino e rurale in crescita. Gran Bretagna e Stati Uniti si contendono l’economia argentina controllando circa il 50% delle imprese del paese sudamericano. Contro le imposizioni straniere e fieri della propria identità proletaria, iniziano a formarsi movimenti comunisti, anarco-sindacalisti e socialisti. E’ nel 1930 che avviene un primo colpo di Stato autoritario che pone fine al liberalismo, rompe l’equilibrio politico e instaura un governo populista.

Poi arriva la guerra e il Paese si divide, come il resto del mondo, in fascisti e antifascisti, creando ulteriori fratture nella politica argentina e portando il paese al golpe del 1943, organizzato da un gruppo di giovani militari filofascisti. Tra di essi troviamo anche il colonnello Juan Domingo Peron, che non solo partecipa al golpe, ma riesce anche a scalare velocemente le cariche politiche diventando Ministro della Guerra e vicepresidente del Paese grazie alla sua popolarità, al suo carisma e al suo appoggio alla Confederación General del Trabajo de la República Argentina.

Con essa riesce a varare numerose riforme sociali volte ad accrescere il proprio consenso. E il suo piano si rivela vincente. Nel 1946 vince le elezioni presidenziali appoggiato dai sindacalisti e dai socialisti, ma anche e soprattutto dai nazionalisti. Questa accozzaglia di identità, che mescola insieme socialismo patriottico, populismo e assistenzialismo economico da parte dello Stato, dal 1946 assume il termine univoco di peronismo o justicialismo.

Non mancano le strizzate d’occhio al fascismo: il concetto di corporativismo viene ripreso e fortemente sostenuto da Peron, sebbene in Italia si sia rivelato un esperimento storicamente fallito. Non riusciamo dunque a collocare il peronismo con certezza, come tendenzialmente siamo predisposti a fare nel nostro parlare quotidiano, tra quelle due grandi macro-aree che muovono i fili della politica: la destra e la sinistra.

Da una parte l’era peronista è un periodo di nazionalizzazione dei servizi pubblici, di investimenti nell’istruzione, di sussidi e di assistenzialismo, reso possibile grazie alla massiccia esportazione di materie prime avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale che ha reso l’Argentina una potenza economica. Dall’altra parte, le simpatie di Juan D. Peron verso Hilter si sono presto trasformate in accoglienza e protezione in terra argentina per molti esponenti nazisti in fuga dall’Europa dopo il crollo del Reich: tra i nomi più noti, Adolf Eichmann e Josef Mengele.

La magia si interrompe tuttavia con il crollo dell’economia argentina: subentrano il l’inflazione, l’indebitamento, il disincanto. Ma nonostante la crisi, il peronismo ha ormai affondato le sue radici nel sottosuolo della società argentina, influenzando tutte le classi sociali.

El peronismo será revolucionario o no será nada!”, il peronismo sarà rivoluzionario o non sarà niente, urlava nelle piazze Eva Peron, moglie del presidente e figura sindacalista e filantropa di vitale importanza nella società argentina. L’impronta rivoluzionaria del peronismo persiste anche dopo la morte del suo fondatore, la cui popolarità con il tempo si è trasformata in idolatria. Per capire il peronismo odierno e per avviare un’analisi attuale, è utile leggere il focus che Jorge Arias, politologo e direttore del progetto Idd-Lat, Indice di sviluppo democratico per l’America Latina, rilascia a Rai Televideo.

Il peronismo, oggi, è un grande agglomerato politico con una storia comune, ma senza un programma unico e senza coesione ideologica. La scomparsa, nel 1974, del suo fondatore, il generale Perón, lasciò il movimento senza leader e il partito senza un’organizzazione. Ciò che colpisce è che il peronismo, malgrado le lotte intestine, è sempre riuscito a concentrare il potere, garantendo cicli di democrazia e governabilità. Peron diceva: ‘siamo come i gatti, sembra che litighiamo ma in realtà ci riproduciamo’. Il peronismo, insomma, modella e trasforma la politica argentina.”(2)

La mancanza di ideologia è il perno sul quale ruota il discorso del trasformismo: il peronismo ha sempre puntato all’egemonia, più che alla costruzione di valori. Non ci stupiamo dunque se nel corso della storia l’Argentina ha votato peronisti liberali e peronisti socialdemocratici, vestendo dunque abiti diversi in base alla stagione politica.

 

A destra, Cristina Kirchner de Fernandez; a sinistra, Alberto Fernandez

 

Ma che tipo di peronismo è, invece, quello di Alberto Fernandez e di Cristina Kirchener? Ora che abbiamo un quadro più generale, possiamo analizzare le diverse vedute di pensiero del neo-presidente argentino e della sua vicepresidente. Come già anticipato, Alberto segue la linea camaleontica – liberista e populista, progressista e conservatrice – di Juan D. Peron, collocandosi un’intermedia posizione moderata adatta a pescare un elettorato trasversale.

Cristina Kirchner ha invece un’identità politica più chiara, eccentrica e convinta. Socialdemocratica, di sinistra e paladina dei diritti umani, Cristina continua a incarnare i valori del kirchnerismo, corrente nata dopo la presidenza di suo marito Néstor Kirchner (2003-2007) e di cui lei si è fatta portavoce durante gli anni in cui è stata al governo (2007-2015), continuando la politica del marito. Ai valori di sinistra si affianca inoltre un ostentato orientamento democristiano che riesce a conquistare l’ampia ala religiosa della comunità argentina.

L’accoppiata Fernandez-Kirchner sembra dunque avere scogli ideologici da superare. Un moderato e una radicale, un centrista e una donna di sinistra che fino a qualche anno fa avevano da ridire l’un l’altro. Il peronismo, in fondo, è proprio questo: cambiare sponda, se necessario al raggiungimento del potere. Posizioni e caratteri diversi sono problemi che al momento rimandiamo al 10 dicembre, giorno in cui saliranno alla presidenza del Paese: per adesso l’elettorato ha fiducia in loro e crede che il prossimo governo possa dare una svolta all’Argentina e risollevare l’economia del Paese.

1 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/argentina-al-voto-macri-spera-nel-miracolo-24260

2 Le mille anime del peronismo, Rai Televideo, 2011

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