Alle presidenziali del novembre 2020, gli ispanico-latini potrebbero essere la più ampia minoranza linguistica al voto. Nel 2016, secondo i flussi elettorali, Donald Trump riuscì a conquistare circa un terzo dei voti della comunità latina; e ciò nonostante la retorica aggressiva con cui apostrofava i loro cugini messicani e centroamericani che tentavano di oltrepassare il confine con gli Stati Uniti.
Recenti sondaggi, condotti da Reuters/Ipsos, mostrano come il 40% degli elettori latini approvi le politiche sull’immigrazione di quest’amministrazione (percentuale pressoché raddoppiata tra i bianchi non ispanici). Il tema immigrazione è, appunto, quello più sentito tra i latini, persino più dell’economia e dell’assistenza sanitaria.
Così, date le premesse, lo staff della comunicazione del Presidente ha lanciato delle inserzioni Facebook in lingua spagnola, miranti a raggiungere la comunità ispanica. Da maggio ad ottobre 2019 sono state pubblicate più di 1200 inserzioni pubblicitarie, in maggioranza recanti la didascalia “Latinos for Trump”.
Temi principali: la gestione delle ondate migratorie alla frontiera con il Messico, le campagne negative contro i democratici (accusati dal Presidente di apprezzare il socialismo sudamericano), l’abbassamento della pressione fiscale e infine il record del livello di occupazione tra gli ispanici. Ma non solo sui social: la “campagna ispanica” del Presidente sta proseguendo con una serie di raduni intitolati “Vamos to Victory”, e previsti in Texas, New Mexico e Arizona.
I repubblicani stanno provando ad erodere lo storico consenso di cui godono i democratici tra la comunità ispanica (stimato al 60-62% del totale votante). La scelta comunicativa non stupisce affatto: negli Stati Uniti la lingua spagnola è quotidianamente parlata da 60 milioni di persone; gli ispanofoni costituiscono il 10% dell’elettorato americano, con considerevoli picchi in Stati come Arizona, Florida e New Mexico.