All’indomani del venerdì di proteste, il Presidente al-Sisi sceglie ancora una volta la via della repressione. Numerosi gli arresti e i fermi, tra cui anche diversi avvocati. Tra gli arrestati compare il nome di Mahinour el-Masry, che domenica è stata costretta a salire su un furgone e condotta in una località sconosciuta. Il suo capo d’accusa sarebbe quello di aver garantito la difesa ad alcuni dei manifestati fermati. Oltre ad el-Masry sono noti anche i nomi di altri due avvocati, Ahmed Sahran e Mohamed Hamdi Younis, fermati dopo aver chiesto al Procuratore generale del Cairo, di avviare un’indagine sulle accuse rivolte al Presidente al-Sisi.
La Commissione egiziana per i diritti e le libertà (ECRF) ha fornito nuovi dati dichiarando che il numero degli arresti sarebbe salito a 373, tra cui 39 donne. Ma secondo alcuni media le persone arrestate sarebbero almeno 500. Inoltre, secondo il sito Netblocks, che monitora le libertà e i diritti digitali, ha denunciato l’introduzione di dure restrizioni nell’accesso ai social network ed alcuni siti internet come BBC News. Un dettaglio che potrebbe lasciar presagire le prossime mosse, o comunque le intenzioni, del regime egiziano è che gli arrestati si trovino attualmente ad Elgabal Elahmar, una struttura particolarmente adatta ad ospitare un numero ampio di detenuti.
Si inizia a delineare la mappa del dissenso egiziano. Un aspetto certo è la sua diffusione ampia e generale, che ha preso piede proprio attraverso i social network. Oltre al videomessaggio dell’imprenditore, Mohamed Ali, emergono altri messaggi diffusi tramite Facebook e Twitter. A inizio settembre erano già comparse, infatti, sul profilo Facebook di Kamal Khalil, leader del Partito Democratico dei Lavoratori e dei Socialisti Rivoluzionari, critiche molto dure verso l’attuale governo. Inoltre, sarebbero numerosi i messaggi e i video di denuncia pubblicati dagli attivisti che attualmente vivono all’estero. Un altro dettaglio che merita ancora una volta di essere sottolineato è che si tratta del primo episodio in cui gli egiziani si oppongono in modo cosi diretto verso il regime di al-Sisi, sintomo che la parete di terrore costruita dal regime non è più invalicabile.
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