Al margine del summit delle Nazioni Unite avente ad oggetto la lotta ai cambiamenti climatici e le nuove sfide che il pianeta si troverà ad affrontare nel breve periodo, emerge l’insoddisfazione dei Paesi del continente africano, i più duramente colpiti dal cambiamento climatico. Se, infatti, nel diritto comunitario ed internazionale sia ormai invalso, benché contestato dai paesi emergenti, il principio “chi inquina, paga” esiste, a Sud dell’equatore, un paradosso apparentemente irrisolvibile: i Paesi che emettono meno emissioni di monossido di carbonio per abitante, si trovano a pagare costi umani e finanziari più alti rispetto ai “grandi inquinatori” del pianeta.
Secondo il rapporto Oxfam, pubblicato proprio il 23 Settembre 2019, in occasione dell’incontro dei leaders mondiali al Palazzo di vetro infatti, Paesi come il Mozambico, la Somalia, o più in generale il corno d’Africa, ricevono meno di un centesimo al giorno pro capite per far fronte ai devastanti effetti degli stravolgimenti climatici, trovandosi di fatto in prima linea tra le vittime del “climate change” e senza adeguati mezzi per fronteggialo. Nel continente africano, le ripercussioni più comuni del cambiamento dell’attività climatica sono la siccità eccessiva e le continue inondazioni. Solo nel corso del 2018 e dei primi mesi del 2019, la siccità estrema in Somalia ha messo in ginocchio il paese, esacerbando la già fragile situazione sociopolitica con la peggiore carestia degli ultimi due decenni, e lasciando quindici milioni di persone bisognose di assistenza e aiuti umanitari. I dati poco entusiasmanti raccolti dall’Oxfam sono peraltro corroborati dall’indice di vulnerabilità ai cambiamenti climatici che ha dichiarato l’Africa come estremamente vulnerabile per ben cinque anni di fila.
Che sia necessario, rivedere gli obiettivi già discussi in occasione della sigla dell’accordo di Parigi, e potenziarli, è chiaro agli attori internazionali, ma in Africa ciò è doppiamente necessario: in un continente che sopravvive in larga parte grazie all’ agricoltura di sussistenza, e dove mancano le infrastrutture necessarie a garantire un pronto ed efficiente adattamento ai nuovi patterns climatici, sarebbe necessario rivedere i fondi che i paesi sviluppati destinano al Green Fund al rialzo, in modo da favorire la creazioni di strumenti atti a fronteggiare le emergenze. Sarebbe anche utile tenere presente che gli effetti dei cambiamenti climatici si ripercuotono anche sulla povertà e sulle ineguaglianze, che sono indissolubilmente legate al problema del debito dei Paesi africani, alimentando quindi il vincolo di dipendenza tanto inviso alla stessa Africa, e che i paesi ricchi utilizzano come triste arma di ricatto morale.
I leaders africani dovrebbero inoltre ricordare ai loro omologhi dei paesi più industrializzati, che i cambiamenti climatici provocheranno entro il 2030, circa un miliardo di cosiddetti “migranti climatici”. Come affronteranno, in una Europa ed in un mondo sempre più nazionalista e propenso a creare muri più che dialoghi, questa nuova ondata migratoria?
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