Oggi si vota in Grecia e i sondaggi indicando che il partito conservatore di centro destra “Nea Demokratia” raggiungerà un ampia vittoria replicando il clamoroso successo delle elezioni europee di due mesi fa. Dopo cinque anni di governo di sinistra, a scapito di colpi di scena, assisteremo al cambio della guardia ad Atene con il leader del partito Kyriakos Mitsotakis che guida la partita con un un vantaggio che supera i 10 punti percentuali, piazzandosi intorno al 38% dei consensi, che permetterebbe al partito attualmente all’opposizione di assicurarsi la maggioranza assoluta, anche grazie ad un bonus di 50 parlamentari che la legge elettorale greca assegna alla prima forza politica. Le elezioni di oggi sono state convocate dall’attuale primo ministro, Alexis Tsipras (Syriza), dopo il tonfo elettorale in Europa e di fronte a un indiscutibile calo della popolarità del premier di sinistra radicale e del suo operato giudicato fin troppo cauto.
L’avventura governativa di Syriza ebbe inizio nel 2015 con una clamorosa vittoria alle legislative di settembre e formando un governo in grado di sostituire un governo guidato da Nuova Democrazia, tra la rabbia diffusa sulle misure di austerità imposte dai creditori di salvataggio della Grecia. L’affluenza è stata eccezionalmente bassa al 56,6%, il più basso mai registrato in un’elezione legislativa greca dal ripristino della democrazia nel 1974. L’analisi post elettorale ha determinato che l’apatia e la disaffezione degli elettori con la politica e la stanchezza dopo essere stati continuamente chiamati alle urne (questa elezione ha segnato il terzo voto per tutto il 2015, dopo le elezioni di gennaio 2015 e il referendum di luglio 2015) sono state le cause più probabili per la bassa affluenza.
Centro della campagna elettorale, ovviamente, lo status dell’economia della Grecia che accusa ancora i postumi di una delle peggiori recessioni dell’euro zona sulla scia della crisi finanziaria globale del 2008. I governi succedutesi in Grecia hanno tagliato la spesa pubblica per bilanciare il bilancio, innescando una depressione che ha ridotto l’economia del paese di un quarto. Il ciclo di austerità, riduzione del rischio e forte supervisione europea dei conti è costata piu un milione di posti di lavoro ed è in parte la causa dei tassi di povertà molto alti, della gravissima situazione sociale, dell’emigrazione e della coesione sociale a rischio. Salito al potere con il preciso scopo (ampiamente difeso in campagna elettorale) di porre fine all’austerità, il governo di Syriza ha deluso i sostenitori ignorando i risultati di un referendum sull’attuazione di ulteriori misure restrittive, sottoscrivendo un terzo piano di salvataggio e attuando dure misure fiscali imposte dall’Unione e dal Fondo Monetario Internazionale. Tra i peggiori effetti dell’indecisione politica di Syriza c’è stato il fatto che ha spaventato gli investitori stranieri e i depositanti delle banche. La Grecia ha abbandonato il programma di salvataggio ad agosto dello scorso anno e la sua economia sta iniziando a riprendersi con una previsione di crescita del 2% per i prossimi tre anni. Ma questo non è riuscito a placare la disillusione degli elettori pronti a punire l’attendismo ipocrita della sinistra.
Mitsotakis ha promosso campagne per ridurre le tasse sul salvataggio, riformare la burocrazia della Grecia e facilitare i prestiti bancari alle imprese. Queste misure potrebbero raddoppiare la crescita al 4% e creare 700.000 posti di lavoro nel suo mandato, ha detto. In cambio, ha chiesto alle imprese di tornare in patria e investire circa 10 miliardi di euro ( 11,23 miliardi di dollari ) detenuti in conti bancari esteri. I tagli fiscali proposti da Mitsotakis includono la riduzione dei contributi previdenziali di un quarto e il dimezzamento dell’imposta sul reddito degli agricoltori. Nea Demokratia ha anche capitalizzato il malcontento pubblico per un accordo controverso lo scorso anno per rinominare la Repubblica jugoslava di Macedonia in Macedonia del Nord. L’accordo del 2018 ha rimosso il veto della Grecia per permettere alla Macedonia del Nord di diventare un membro a tutti gli effetti della NATO. Profondo il malcontento verso questa decisione, principalmente tra i settori del nazionalismo e della destra che han sempre evocato la “grecità” della Macedonia storica (quella di Alessandro Magno) di fronte a una repubblica abitata da un etnia slava e albanesi.